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Quell’infante "in interiore homine"

di Piera Mattei

 

Franco Ferrarotti, L'anno della quota 90, Roma, Empiria, 2012


Quanta affettuosa ironia, nelle pagine in cui Franco Ferrarotti rivive e naturalmente reinventa la sua primissima infanzia! Nato, il piccolo menagramo, nell'anno della "quota novanta", tempi di finanziari disastri, molto simili ai nostri giorni.

 

L'autore gode nel rientrare in quel museo della sua mente, in quel luogo che non c'è più, che è la grande casa contadina in cui è nato e nell'altra simile casa dei bisnonni, creature ruvide e taciturne, che lo ospiterà nei primi anni di vita.

Entra in quella casa tutto solo, indisturbato ormai, con il suo occhio penetrante, con lo sguardo di un individuo adulto che ha fatto dell'intelligenza e della fantasia, dell'inesauribile gioco intellettuale, la sua principale passione. E quel suo godimento, quella passione, riesce a comunicarla al lettore.

Siamo trascinati a seguirlo nella creazione di un mito, che certamente ha corrispondenze con la realtà, ma diventa mito nel momento in cui è cantato sulla pagina, con accensione che non esiterei a riconoscere come poetica. Dunque, c'è un tema centrale nel racconto di questa infanzia, la storia di una piccola creatura malata, nel gergo veterinario si chiamerebbe lo scarto della cucciolata, che quasi abbandonato dai genitori disperati di ricuperarlo, cresce, più che accudito e educato, appena sorvegliato da questi antenati, antichi ormai, nodosi e soprattutto silenziosissimi, imparando liberamente a usare le sue corde vocali, emettendo suoni anche stranissimi o "ineducati", utilizzando come vuole i propri sensi per capire lo spazio, gli oggetti intorno. Ma l'amore, per quanto inespresso, certo non gli è mancato. Credo ci sia una grandissima forza nel breve capitoletto in cui l'autore racconta dei due lenti abbracci rituali di Ursula, la bisnonna, al mattino e alla sera prima di coricarlo. C'è un grande affetto contenuto che forse l'ha davvero nutrito, in quel nome appena sussurrato "Francu, Francu".

Nel libro questo tema centrale del bambino che cresce solitario, libero e forse (ma non lo sa) felice, tende a mutarsi in basso continuo, sul cui sottofondo s'innestano temi dalle variazioni infinite, sempre sapienti – le famose ferrarottiane digressioni. Dentro quelle, quasi dentro un coloratissimo caleidoscopio, ci trascina la mente, tendenzialmente sempre squadernata su una personale originalissima enciclopedia, del nostro autore.

Dunque questo infante–Franco–Ferrarotti (Francu) si affaccia alla coscienza del nostro autore. "Sclama" è vero, ma avrà le sue ragioni. Profondamente è amabile, curioso, ed è bello seguirlo, osservarlo non visti mentre solitario si aggira, a livello del suolo, si ferma, testa, assaggia, senza essere ostacolato da bruschi divieti. È il caso o una catena di concause che sta creando la creatura che per sempre abiterà, protetta e compresa, "in interiore homine", dentro l'adulto che inesorabilmente diventerà.

Sempre li reinventiamo, e li amiamo così come li abbiamo ricreati, come fossero altro da noi, questi "noi stessi-altri", noi come eravamo quando ancora non eravamo, quando eravamo diversi, non più ovuli, embrioni, già creature che abitano lo spazio esterno ma senza ancora conoscere, muovendosi per imparare a muoversi. Si affacciano da soli, ci costringono a ripercorrere le tappe essenziali della nostra storia personale, a osservarli con curiosa affettuosità, sempre scoprendo qualcosa di nuovo, che conoscevamo perfettamente, nei dettagli, come impresso su una pellicola, e insieme ignoravamo.

Ascoltando il professor Ferrarotti parlare con sorridente ironia e divertito distacco – con amore – del piccolo Franco, ci pare di capire che si senta un po' come il padre di quell'infante (qui in senso etimologico), che lui é stato. Ci viene da pensare che quello, il bambino libero per mancanza di cure, con i suoi lenti personali ritmi di apprendimento, lui e non altri, potrebbe essere "il figlio diletto" nel quale l'adulto carico di cultura e esperienza che è diventato, si riconosce e si "compiace".

Piera Mattei

 

 

 

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