biografia

La prima infanzia
Franco Ferrarotti nasce il 7 aprile del 1926, a Palazzolo Vercellese, nel Nord d'Italia. La sua è una famiglia di medi proprietari terrieri. La sua nascita, però, coincide con un periodo particolare: il governo fa accordi, tra il 1925 e il 1926, per la sistemazione dei debiti di guerra con gli USA e la Gran Bretagna (si parla della guerra del 1915-'18), si ottiene un importante prestito - 50 milioni di dollari - dagli USA e, in conseguenza, aumenta: da un lato, la fiducia verso la lira, dall'altro, l'alta finanza anglosassone si trova di fronte alla necessità di garantire la sicurezza dei propri investimenti in Italia. Il movimento operaio organizzato ha, nel frattempo, perduto spazio. Viene così rivalutata abbondantemente la moneta italiana, la lira, il cui cambio viene fissato sulla base di 19 lire per un dollaro e di 92,46 lire per ogni sterlina. Questa stabilizzazione della lira a «quota novanta», vale a dire a un livello poco realistico, comporta da un lato l'adesione a un sistema di parità di cambio (già l'Inghilterra era tornata all'equiparazione all'oro e la Germania aveva attuato una riforma monetaria). Dall'altro lato, però, gli esiti sono molteplici: tra questi, si avrà una svolta deflazionistica.
Molte famiglie italiane si trovano in grandi difficoltà. Molte piccole imprese produttrici di beni di consumo e riguardanti l'edilizia entrano in crisi: e aumenta la disoccupazione al 10%, con un incremento pari a tre volte quello precedente. Anche la situazione dell'agricoltura ne risente fortemente: i prezzi del grano precipitano tra il 1926 e il 1927 da 200 a 140 lire il quintale. E tra i tanti anche il padre di Franco Ferrarotti viene rovinato dalla «quota novanta». I suoi quattro figli crescono in una situazione di ristrettezze economiche: Franco studierà per qualche tempo in un istituto religioso grazie a un lascito istituito da un lontano parente. È un bambino pieno di curiosità e interessi, cagionevole di salute: verrà ritirato da scuola e inviato a San Remo, sul mare, in un clima più mite e darà poi gli esami finali - la licenza ginnasiale - nel 1940 e poi quella liceale, da privatista.


La scoperta del positivismo

Ma intanto a San Remo, nella biblioteca locale, e poi a Nizza ha scoperto alcuni autori del primo positivismo: divora i loro libri, che gli restano molto impressi. Più tardi, queste letture saranno il punto di partenza per la sua critica all'idealismo astratto, dominante in Italia. Per le sue critiche al più noto intellettuale italiano del ‘900, il filosofo Benedetto Croce. È anche il periodo degli studi scolastici, quello in cui impara l'inglese: da solo, sui libri, in un primo momento. Poi, a San Remo e durante la guerra (la seconda Guerra Mondiale), avrà occasione di parlarlo. Perché intanto l'Italia è stata trascinata in guerra da Benito Mussolini: il giovane Franco Ferrarotti sarà colto dall'8 settembre ad Arma di Taggia, sul litorale ligure: da quel momento farà più volte la staffetta, portando notizie, ordini, armi. Prenderà parte ad alcune azioni partigiane. Alla fine del conflitto chiederà e otterrà un passaporto.

 

La traduzione di T. Veblen e la polemica con Benedetto Croce
NNel 1944 si iscrive alla Facoltà di Filosofia, nell'Università di Torino. Lavora intanto come traduttore per la casa editrice Einaudi: una casa che si adopera a far conoscere in Italia molti autori stranieri. Con lui lavorano persone che saranno sempre più note come intellettuali di rilievo: Cesare Pavese, grande cultore della letteratura americana, che Ferrarotti ricorderà sempre come un suo sincero amico e conterraneo, la scrittrice Natalia Ginsburg, Paolo Serini e, ancora, lo scrittore Italo Calvino ed altri letterati. Lui traduce un libro di Howard Fast, Sciopero a Clarkton. Traduce di Theodor Reik Rito religioso-studi psicoanalitici. Si cimenta con la scrittura di Thorstein Veblen: porta con sé il libro in Inghilterra, in Francia. Ci lavora tra il '47 e il '48. La sociologia di Veblen lo interessa da vicino: su Veblen farà la sua tesi di laurea che discuterà con un noto filosofo, Nicola Abbagnano. Tra il '49 e il '50 dalla tesi estrarrà due saggi che verranno pubblicati sulla «Rivista di Sociologia» diretta appunto da Abbagnano. Ed esce intanto la traduzione del libro di Veblen, cui dà come titolo La teoria della classe agiata.

È il gennaio del 1949. Pochi giorni dopo - il 15 gennaio - esce una dura stroncatura dell'illustre filosofo Benedetto Croce, che taccia la sociologia - che pure, nell'Ottocento, in Italia, aveva avuto un certo spazio grazie ad alcuni noti positivisti - di essere una inferma scienza. Non era infatti una scienza pura, astratta, come la filosofia, e il suo legame con il mondo empirico ne pregiudicava, secondo il filosofo, la natura stessa di scienza. Il giovane Ferrarotti risponde a sua volta subito, per scritto: difendendo la sociologia e il testo di Veblen in due articoli usciti nella «Rivista di Sociologia», dal titolo rispettivamente di La sociologia di Thorstein Veblen e Un critico americano di Marx: e gli intellettuali italiani si interrogano su chi sia questa persona così audace da osare contrapporsi a Benedetto Croce. Forse, ipotizzano, un anziano professore di sociologia?

 

Nascono i «Quaderni di Sociologia»

Ferrarotti intanto discute con Abbagnano di un'ipotesi che gli sta a cuore: aprire una rivista di sociologia. Una rivista che vorrebbe poco accademica, decisamente critica: l'anziano filosofo, generosamente, gli viene incontro. Usciranno così nel 1951 i «Quaderni di Sociologia». Una rivista di cui Franco Ferrarotti è il direttore, mentre Nicola Abbagnano risulta vice direttore: probabilmente è la prima volta che accade un fatto del genere in un ambiente accademico italiano, dove sono forti le differenze tra un riconosciuto e stimato professore ordinario e un giovane appena laureato. I «Quaderni» daranno spazio tanto a tematiche teoriche che a resoconti di ricerche sul campo. Pubblicheranno autori italiani e stranieri; tra questi vi saranno vari docenti americani. Non si tratta della prima iniziativa di Ferrarotti nel campo delle riviste. Egli infatti aveva già tentato questa esperienza con una piccola rivista chiamata «Punti fermi», in cui aveva pubblicato alcune sue conferenze vicine a posizioni anarchiche. Né sarà l'ultima esperienza di riviste: ceduti, infatti, dopo qualche tempo i «Quaderni di Sociologia», aprirà nel 1967 il trimestrale «La Critica Sociologica», oggi vicino al quarantesimo anno di età: una rivista personale, nel senso che non fa capo a un'istituzione o a una casa editrice, ma è un'impresa privata che ha sempre dato spazio, accanto a stimati e noti cultori delle scienze sociali, anche a più giovani studiosi e che si è sempre mostrata aperta al dialogo interculturale.

 

Negli USA

Nello stesso 1951 comunque Ferrarotti - che nel frattempo ha conosciuto l'industriale Adriano Olivetti e ha cominciato a lavorare con lui, come suo consigliere particolare - parte per gli Stati Uniti: si tratta di un desiderio a lungo covato, accresciutosi con le letture di opere di sociologi americani fatte all'USIS. Parte in nave, lasciando dietro di sé una famiglia perplessa, in cui non si comprendono bene le ragioni di un viaggio così lungo e rischioso, verso luoghi tanto lontani; un viaggio non necessitato da gravi ragioni. Si tratta invece, per il giovane Ferrarotti, di un allargamento di orizzonti, della possibilità di conoscere un mondo diverso, proiettato sul futuro. Un mondo di progresso scientifico e di ampio dibattito culturale. Potrà così completare i suoi studi a NY e poi a Chicago, dove Veblen aveva lavorato e insegnato. Negli USA - dopo inizi difficili per problemi economici - Ferrarotti si interesserà ancora della realtà sociale della fabbrica (che alla Olivetti aveva sperimentato da vicino) e dei problemi del potere, un tema quest'ultimo che sarà sempre presente nei suoi pensieri e nei suoi scritti. Torna in lui chiara l'esigenza di un maggiore collegamento tra il piano teorico filosofico, sistematico (tipico dell'impostazione europea), e quello del mondo empirico e della survey (impostazione, questa, più americana). Un tentativo che non troverà una facile applicazione, poiché in quel periodo la sociologia statunitense non sente particolarmente il bisogno di un'esigenza sistematica, nella piena accettazione dell'importanza dell'american way of life, nella realizzazione di our more perfect union. Troppo spesso, inoltre, le ricerche sociologiche dipendono dal mercato, dal committente: il che ne limita inevitabilmente l'autonomia, come già aveva messo in luce Herbert Blumer, esortando gli studiosi del sociale a fare ricerche, ove possibile, in base ai propri interessi culturali. In Italia, d'altro canto, non si pratica il field work: si preferisce lo studio a tavolino, con il rischio di impoverire la realtà su cui si intende riflettere. Fatti e valori sono realtà dicotomiche, difficili da mettere in reciproca relazione. Ferrarotti comunque a Chicago legge, studia. Scrive un paper che gli aprirà le porte dell'università: viene infatti convocato nel Social Science building dove incontra i professori Waleski, Burgee e Harbison che gli offrono un insegnamento. In breve tempo è uno junior professor. Non solo: si sposa, fa un lungo viaggio da cui trarrà poi i materiali per il libro Il dilemma dei sindacati americani che uscirà nel 1954 (Edizioni di Comunità, Milano). E, con altri docenti di Chicago, partecipa alla campagna elettorale di Stevenson: un'esperienza su cui tornerà molti anni dopo, narrandola nel testo Pane e lavoro! (Guerini, Milano 1994). È in quel torno di tempo che conosce e stringe rapporti con importanti nomi della cultura nord americana, discutendo con loro di temi che saranno poi al centro delle sue riflessioni anche in futuro: con F. G. Friedman, ad esempio (di lui farà pubblicare nei «Quaderni di Sociologia» dell'Inverno 1952 un articolo dal titolo Osservazioni sul mondo contadino dell'Italia Meridionale) e con D. Riesman, il noto studioso del carattere nazionale degli americani che, a suo parere, è da ritenersi il culmine dell'evoluzione del carattere sociale dell'Uomo Occidentale, a partire dal Medio Evo (v. La folla solitaria, 1950). Docente a Chicago e ad Harward, Ferrarotti potrà confrontarsi con lo stesso Herbert Blumer, convinto dell'importanza del processo di auto-indicazione e, quindi, dell'interpretazione della realtà sociale. Della necessità, al fine dell'interpretazione, di una prioritaria interazione tra persone. Con un Blumer interessato all'uso delle storie di vita, delle autobiografie, dei diari e delle lettere nella ricerca sociologica, fautore dei case studies. Ancora, conoscerà Edward Shils, l'autore di The Present State of American Sociology, Glencoe 1948, testo che verrà tradotto in italiano per la casa editrice Taylor di Torino. Shils sarà anch'egli uno degli autori pubblicati dai «Quaderni di Sociologia» (v. il suo articolo su Lo stato attuale della sociologia americana, nn. 4-8, 1952). A lui Ferrarotti farà più volte riferimento nel suo volume Sindacato industria e società (UTET, Torino 1967). Shils sarà inoltre presente e prenderà la parola a un convegno che il professor Roberto Cipriani ed io abbiamo organizzato nel 1988 per ricordare il lungo periodo trascorso da quando Ferrarotti aveva vinto la prima cattedra di sociologia messa a concorso in Italia. Discuterà di comuni interessi altresì con C. Herman Pritchard e con Leo Strauss, filosofo politico e studioso del mondo classico, nato nel 1899, di origine tedesca, noto per le sue critiche al relativismo di Max Weber (1953) e poi dell'amoralismo di Machiavelli (1958), scomparso nel 1973. È in questo periodo che conoscerà e aprirà utili confronti teorici con Ernest W. Bergess e con Louis Wirth, il già celebre autore de The Ghetto.

 

Per la ricerca concettualmente orientata

Si tratta di un periodo fecondo di studi, esperienze, idee. Quando, nel 1952, torna in Italia (ma negli USA andrà sempre, per anni e anni, per conferenze, dibattiti, brevi periodi di insegnamento presso varie università e soprattutto a Columbia e alla NYU), F errarotti è sempre più convinto dell'importanza, della necessità di un apporto reciproco tra l'impostazione empirica americana e quella, più teorico-filosofica, europea. Se infatti a suo parere gli studi in Europa in genere e in Italia in particolare peccano di astrattismo, rischiando di perdere di vista la corposità del sociale, quelli americani, dal canto loro, rischiano di perdere di vista il quadro teorico, di smarrirsi in un frammentarismo poco significativo, al più descrittivo. Rischiano la quantofrenia: sono d'accordo con lui, su questo punto, E. Shils e L. Strauss. Sembra a lui evidente che i dati non parlano da soli, così come i concetti astratti non danno conto della realtà concreta. Ferrarotti matura quindi un progetto ambizioso: si interesserà di sociologia (lascerà cadere varie offerte di insegnamenti di Filosofia) e cercherà di fondare una sociologia critica, basata su concetti che siano operativi, in grado cioè di orientare la ricerca, offrendo parametri, indicatori che ne permettano l'individuazione, l'approfondimento. Una sociologia che sia sì una scienza dell'osservazione, ma orientata concettualmente. Una rilettura di alcune impostazioni che erano già in qualche modo presenti nei classici della sociologia, poiché già in Auguste Comte viene sottolineata l'importanza, basilare, di quella che egli definisce come the luminous guidance of theory.

 

La situazione culturale italiana negli anni '50

Un progetto difficile, in un paese come l’Italia, dominato dal neo-idealismo di stampo gentiliano (derivato da Giovanni Gentile) e crociano (da Benedetto Croce), in cui le scienze sociali non hanno spazio. Cui si contrappone un marxismo che è, a suo parere, di matrice staliniana. Anni dopo, in un suo articolo intitolato Sociology in Italy: Problems and Perspectives, uscito in un volume collettaneo Raj P. Mohan and Arthur S. Wilke (editors), International Handbook of contemporary developments in Sociology (Greenwood Press, Westport, CT 1994), così Ferrarotti spiega la situazione per cui era praticamente scomparsa dal panorama culturale la proto-sociologia:
 

This prefascist sociology had been taught for years as corse material but not officially by university chairs in faculties of jurisprudence and medicine, in the guise, somewhat reductively, of criminology… It is too easy to attribute the weakening and the subsequent fall and disappearance of the social sciences, especially sociology, to the “fascist dictatorship”. In prefascist sociology there were weakness of method and substance. These prevented effective resistance to Croce’s “clarification”, which was in many ways ignorant and unaware of modern scientific procedure.: Certainly fascism, with its autarky in the cultural sphere as well, favored that critique. (F. Ferrarotti, art. cit., pp. 484-485)

Difficile risalire questa china, reimpostare ex novo gli studi sociologici. Lui però è giovane, è fortunato, ha idee innovative e un grande desiderio di sostenerle e diffondere. Ha il gusto per la battaglia intellettuale, per il duro confronto di opinioni.

 

Attività su più fronti

Approdato a Roma, riprenderà i rapporti con Adriano Olivetti e il Movimento di Comunità che a questi fa capo, insegnerà all’Università degli Studi di Roma, «La Sapienza», in più facoltà. Insegnerà anche a Firenze e altrove: per circa un ventennio la sua attività è intensa, il suo nome viene identificato con la materia che insegna, inizialmente come incaricato non retribuito. 
Scrive sui principali settimanali e su riviste scientifiche, viaggia moltissimo in Europa, in America Latina e in India, dove riesce a ottenere spazi per la Olivetti (verrà aperta una prima fabbrica di telescriventi), battendo la proposta di un colosso come la Siemens. Il successo è determinato dall’aver egli chiarito l’importanza, nella Olivetti, di una concomitanza tra sviluppo industriale e comunitario. Nehru apprezza infatti l’idea di un progresso che non implichi brusche rotture, violente imposizioni di nuovi equilibri: il movimento Comunità si interessa, già allora, di ecologia, di equilibrio ecosistemico.
Ferrarotti continua intanto a occuparsi soprattutto di politica e di problemi aziendali, dei sindacati americani, della sociologia come scienza. Del gangsterismo americano.
Nel 1954 esce il suo libro su Il dilemma dei sindacati americani, per le Edizioni di Comunità (il testo avrà una grande fortuna e vedrà una seconda edizione, ampliata, nel ’61, quando prenderà il titolo Sindacato e potere negli Stati Uniti d’America), in cui prende in esame e discute le posizioni dei maggiori studiosi americani che si sono confrontati con questo tema, da Laski a C. E. Lindblom e a S. Perlman. Polemizza quindi con Laski e con l’estrema sinistra americana trotzkista e stalinista, ma anche con chi ritiene che sia opportuno cercare adattamenti migliori. Secondo Ferrarotti, la dissoluzione del «sogno americano», di una riuscita quindi individuale, solitaria, è determinata proprio dall’esistenza di organizzazioni quali i sindacati americani. Perché il dilemma, a suo avviso, è tra una contrattazione collettiva e una azione politica autonoma e diretta. Su questo tema tornerà poi in Sindacato Industria e Società, che uscirà nel ’67 per i tipi della UTET, a Torino.

 

Deputato per il Movimento Comunità

Intanto, nell’ottobre 1959, Adriano Olivetti si dimette dalla Camera dei deputati: Ferrarotti lascia Parigi, gli succede per il Movimento di Comunità: è un indipendente il cui voto avrà un gran peso (cfr. il suo Nelle fumose stanze, Guerini, Milano 2005), molto al di là della forza effettiva del Movimento di Comunità.
Sarà così deputato per cinque anni, nella terza legislatura. Lavora, in quel torno di tempo, soprattutto sui temi sindacali, sul Mercato Comune europeo, su tematiche economiche. Si occupa dei problemi dei paesi del Piemonte che hanno sostenuto Comunità. Assaggia il gusto del potere: il suo voto, in occasioni di forte impatto, è determinante: narrerà di come venisse corteggiato, concupito da politici navigati, abituati a muoversi per tempo in vista di possibili nuove alleanze ed equilibri Nelle fumose stanze (ult. op. cit.). Una tentazione fortissima, per lui, quella della politica: in cui si muove bene, ottenendo risultati concreti per la zona che lo ha eletto e per la sociologia: riuscirà a far bandire un concorso di sociologia di cui sarà il vincitore; riuscirà a fare aprire un Corso di laurea in Sociologia presso l’Università degli Studi di Roma, «La Sapienza»: una Università statale.

 

La cattedra universitaria

Continua, attraverso tutto questo, la sua attività intellettuale e universitaria: perché dal 1961 (il concorso era del 1960) insegna sociologia (una mèta a lungo desiderata, perseguita) come vincitore della prima cattedra di messa a concorso in Italia.
Anni quindi molto intensi, quelli tra il 1953 e il 1963, in cui vive in contemporanea quattro vite: come organizzatore industriale, come diplomatico a livello internazionale, come professore universitario e come deputato. 
Su piano intellettuale Ferrarotti apre certamente nuove vie, offre idee a tutti coloro che lo incontrano. Come spesso gli innovatori, non ha invece interesse per il consolidamento delle proprie posizioni accademiche, non ha il gusto del potere baronale: laddove con questa dizione si intende colui che tiene gelosamente per sé lo spazio occupato, il ruolo conseguito. Grazie a lui invece si moltiplicano gli insegnamenti: lungi dall’imporre una politica maltusiana, per fare posto a giovani colleghi sdoppia, più volte, la sua stessa cattedra. Era infatti consuetudine, all’epoca, il poter chiedere uno sdoppiamento ogni volta che si raggiungeva la cifra di 250 studenti. Un’opportunità che in genere i professori ordinari non colgono, preferendo tenere per sé un alto numero di studenti: lui sì, forse anche per la sua carriera da autodidatta. E anche perché vuole rafforzare la sociologia, aiutarne l’espansione: la sociologia che pure esisteva nell’Ottocento e che era stata completamente spazzata via sotto il fascismo. Si trattava, è vero, di sociologi legati al proto-positivismo, non così provveduti su piano teorico, facile bersaglio per Benedetto Croce. Da lui però studiati e apprezzati nelle sue solitarie letture da ragazzo, nelle biblioteche di San Remo e Nizza, quando leggeva Ardirò e Niceforo.

 

La sociologia critica

Insegna, Ferrarotti, nel corso di laurea che ha aperto presso la Facoltà di Magistero (la stessa dove ha insegnato Luigi Pirandello) una sociologia critica: discute decisamente le posizioni storicistico-crociane in nome dell'esigenza di studi più vicini alla realtà sociale (memore dell'importanza del field work praticato in USA). Combatte una battaglia che riguarda la sociologia, ma anche le altre scienze sociali come l'antropologia culturale e l'etnologia, ridotte in un'ottica crociana a mere classificazioni prive di valore conoscitivo, ritenute mezzi inferiori della vita intellettuale; sostiene dure polemiche con il marxismo che risente del pensiero di Hegel, che non comprende la necessità di radicali riforme strutturali, che accetta la formazione di una burocrazia oppressiva e statica: la statalizzazione dei mezzi di produzione nei paesi socialisti non è sufficiente, non è di per sé, dice Ferrarotti, una garanzia. Si scontra con il retaggio cattolico che pervade un po' tutta la vita italiana, nonostante il calo del numero di coloro che seguono i precetti della Chiesa cattolica.
Sono, per lui, anni di grandi sacrifici, di duro lavoro. Di spostamenti continui in tutta Italia, un po' per il suo lavoro di deputato, un po' per le lezioni universitarie. A Roma e Firenze si aggiunge l'Università di Trento, dove la sociologia fa la sua comparsa nel 1962. E ancora, a fine estate, Ferrarotti è alla Columbia University, a NY., come visiting professor.
Tra il 1963 e il 1965 , avendone discusso con Kurt Wolff alla Brandeis University e con Joseph Lopreato, all'epoca Direttore del Department of Sociology nell'Università del Texas, porta avanti le prime ricerche su come i cittadini vivono il potere, a Roma. Sul potere cioè visto dal basso. Ricerca che replicherà nel 1974 - 1975. E subito dopo conduce un'altra ricerca sulla mafia in Sicilia, per il Senato, ricerca che verrà anni dopo pubblicata dall'editore Liguori di Napoli (Rapporto sulla mafia: da costume locale a problema dello sviluppo nazionale, 1978) .
Trascorre anche un periodo come Fellow del Center for the Advanced Study in the Behavioral Sciences a Palo Alto, in California (1964-'65): dove incontrerà, tra gli altri, Robert K. Merton.

 

La scelta universitaria

Ha intanto maturato la convinzione di lasciare la politica, che pure lo ha profondamente interessato, per dedicarsi in piena autonomia all'insegnamento, alla scrittura. Un po' per il grande desiderio che lo ha sempre caratterizzato della vita intellettuale, un po' perché comprende che la politica implica compromessi, che dovrebbe aderire a un partito o rappresentare gli interessi della famiglia Olivetti: la morte di Adriano ha posto fine al suo progetto politico-sociale.
Ferrarotti dirige ormai per la casa editrice UTET un'importante collana dedicata ai classici della sociologia: dove si cimentano, con traduzioni e curatele, molti di coloro che sono i cattedratici di oggi. Apre anche una collana di sociologia presso la casa editrice Liguori di Napoli, dove fa pubblicare autori italiani e stranieri. Vi uscirà un libro di Morton A. Kaplan,La conoscenza storica e politica (Napoli '76), traduzione di On Historical and Political Knowing (The University of Chicago Press, 1971), vi farà pubblicare un testo di Leo Lowenthal, docente a Berkeley: Letteratura, cultura popolare e società, nel '77 (Literature, Popular Culture and Society, 1961).
È intanto nato, grazie a lui, il Corso di laurea in Sociologia. L'Istituto da lui fondato, inizialmente sostanziato da una sola cattedra, alla fine degli anni '60 è ormai un frequentato luogo di confronti teorici tra studiosi di diverse discipline: si sono moltiplicati i sociologi, ma hanno avuto spazio anche noti antropologi come Tullio Tentori, ben conosciuto negli USA, e più tardi Vittorio Lanternari, studioso dell'Africa decolonizzata e dei movimenti migratori verso l'Italia e l'Europa, oltre che noto per un libro di ampio successo, La grande festa(Dedalo, Bari 1959. Nuova ed. 2004), oltre a filosofi e psicologi sociali. Il confronto interdisciplinare è sempre stato uno dei tratti più presenti nel suo insegnamento e nelle sue numerose attività accademiche.

 

La contestazione studentesca

Sono arrivati nel frattempo gli anni della contestazione: e Ferrarotti è a Berkeley quando hanno inizio i moti studenteschi. Sarà a Parigi nel maggio '68, quando la contestazione sconvolge St. Germani des Près. Ferrarotti non può, data la sua posizione di studioso interessato a confronti diretti con il sociale, non interessarsi della contestazione studentesca, di cui comprende molte profonde ragioni. Ne critica però la mancanza di progettualità, da cui, negli anni successivi, la caduta del movimento nell'irrazionalismo e nello spontaneismo privo di direzione.
Dà conto nella rivista «La Critica Sociologica» (nata nel 1967) di questo complesso fenomeno: la rivista nasce e si sviluppa con attenzione alla politica e ai problemi sociali, al confronto interdisciplinare. Non è, non vuole essere una rivista puramente accademica: darà sempre spazio anche a giovani studiosi, accanto a più noti docenti.
Franco Ferrarotti è tuttora interessato, come già anni addietro, al marxismo, di cui vede i limiti, ma di cui comprende il richiamo: nel novembre 1970 è a Budapest, dove incontra a lungo Gyorgy Lukacs. La sua intervista a Lukacs uscirà prima nella rivista, poi in un volume, Colloquio con Lukacs. La ricerca sociologica e il marxismo, presso l'editore Franco Angeli (Milano 1975) .
Scrive e pubblica Roma da capitale a periferia (Laterza, Bari, 1970), Max Weber-La vita, il pensiero, i testi esemplari (Accademia, Milano 1972) e La sociologia del potere (Laterza, Bari 1972) e, nello stesso anno, Una sociologia alternativa (De Donato, Bari) che avrà numerose edizioni e traduzioni, fino a quella giapponese del 1985 (quella in lingua inglese, con il titolo An Alternative Sociology, Irvington Publishers, Inc., New York, è del 1979). Continuano, dunque, a interessarlo le articolazioni del potere, le élites, ma anche le modalità con cui la popolazione vive e subisce tali realtà sociali; in altre parole, egli prosegue sulla strada della sociologia come scienza drasticamente critica.
Segue da vicino il periodo della presidenza Alliende in Cile, la sua caduta. E, in Italia, i moti di protesta degli slums, le occupazioni di case sfitte, la richiesta di case popolari da parte di persone costrette a vivere senza i servizi minimi essenziali, quali la luce e l'acqua (1973-'74).

 

I limiti della survey

È in questo lasso di tempo che matura in Ferrarotti una forte insofferenza nei confronti della survey come unico strumento di ricerca e di analisi: sarebbe infatti impossibile dar conto dei moti popolari attraverso un questionario rigido, con domande e risposte preordinate, distribuito a un campione stratificato. Le sue ricerche romane, confluite in parte inRoma da capitale a periferia, in parte nel successivo Vite di baraccati (Liguori, Napoli 1974) e in Vite di periferia (Mondadori, Milano 1981) gli hanno confermato l'importanza dei racconti autobiografici, dell'intervista come con-ricerca. Come pure delle tante difficoltà, delle numerose implicazioni teoriche di questo approccio. Sarà nel 1974, in un corso di sociologia avanzata alla Boston University, che rifletterà sull'impostazione qualitativa, sull'apporto che potrebbe dare alla sociologia, alle scienze sociali. Tra i suoi studenti vi è il francese Daniel Bertaux, che sarà poi con lui uno dei fondatori del comitato Biography and Society della ISA (International Sociological Association).
Sono anni di studi, di pubblicazioni (continua anche un'intensa attività pubblicistica), di polemiche. Vi è chi lo vede troppo vicino alla contestazione e al marxismo (tra questi, Mike Miller, chairman del Department of Sociology alla Boston University). Ferrarotti si dice interessato a cogliere i semi sociologici nel corpus della ricerca marxiana. Ma non risparmia critiche ai marxisti che, a suo giudizio, vivono parassitariamente sull'eredità di K. Marx, senza mostrare una convincente capacità di rinnovamento. E dovrà anche sostenere duri attacchi da parte di alcuni cultori sovietici di K. Marx, della Accademia delle scienze di Mosca (1975). Una polemica di cui si trova traccia ne «La Critica Sociologica».

 

I temi delle ricerche

1. Il potere
In questi stessi anni va a buon fine la replica della ricerca sul potere a Roma, che uscirà in tre volumi per la casa editrice Ianua (Roma 1980-1982): Ferdinando Di Orio, che diverrà poi senatore e ordinario di statistica, cura il campionamento; Luigi Frudà, oggi Direttore del Dipartimento di sociologia e comunicazione de l'Università di Roma, «La Sapienza» ed io ci occupiamo dell'addestramento e del coordinamento degli studenti, ma anche della revisione del questionario, ecc. Si tratterà dell'ultima ampia ricerca condotta sulla base di un questionario (ma anche con altri strumenti più vicini all'indagine qualitativa) distribuito a un ampio campione stratificato. La ricerca parte da grandi interrogativi di fondo: Chi detiene il potere? Chi sono i destinatari di alcune decisioni prese dall'alto? Uno dei risultati più interessanti e controversi che emerge sia nella ricerca del '64 sia nella più tarda replica è che il potere, più che essere visto come una funzione razionale intersoggettiva, è inteso invece come legato a una decisa personalizzazione dei ruoli: conta l'individuo più che la funzione. Una tendenza, questa, presente soprattutto nelle fasce più emarginate. Sono invece coloro che hanno più alti gradi di istruzione, sono i più giovani che individuano i detentori del potere economico e finanziario come i soggetti in possesso di maggior potere.
Da ora in poi le ricerche saranno condotte con pochi colleghi e collaboratori, con un approccio in primo luogo qualitativo. Unica eccezione, un'ampia ricerca che verrà svolta sulla presenza degli immigrati nel Comune di Roma, nei primi anni '80. Ma su questo tornerò più avanti.

2.La droga
Ferrarotti, inoltre, affronta ancora temi di grande attualità con riguardo ai giovani: quello della droga, un problema che viene indagato attraverso la raccolta di storie di vita di alcuni giovani drogati, uomini e donne. Si tratta di storie di grande impatto, che certificano il fatto che siamo ormai di fronte a un fenomeno che attraversa tutte le classi sociali (Giovani e droga, Liguori, Napoli 1977).

3.Le credenze religiose 
Si interessa della credenza religiosa (Toward a Social Production of the Sacred (Essay Press, San Diego 1977), tema su cui pubblicherà alcuni libri con l'editore Laterza: Il paradosso del sacro, Roma-Bari 1983, che verrà ben presto tradotto in varie lingue, tra cui francese (Le paradoxe du sacré, Les Éperonniers, Bruxelles 1987) e inglese The Paradox of the Sacred,«International Journal of Sociology», N.Y. 1984; Una teologia per atei, 1983, che verrà tradotto in francese con il titolo Une théologie pour athée,( Librairie des Méridiens, Paris 1984) e in lingua inglese: A Theology for non-believers, (Associated Faculty Press, New York, 1985).
È possibile una teologia per chi si professa non credente? Quali sono gli aspetti del sacro nella seconda metà del XX secolo, in un contesto che, secondo alcuni noti sociologi, è sempre più secolarizzato? Possono convivere la secolarizzazione e la ricerca del sacro? Questi alcuni degli interrogativi che Ferrarotti si pone nei suoi scritti.

4. La violenza
Ancora, si occupa della violenza: ed ecco Alle radici della violenza (Rizzoli, Milano 1979) e L'ipnosi della violenza (Rizzoli, Milano 1980). Nel primo dei due libri Ferrarotti propone alcuni scritti in cui affronta il tema della violenza come un fatto storico: non quindi un'inevitabile fatalità cui ci si può solo rassegnare e che si deve necessariamente subire ma invece come un sintomo duro, allarmante delle carenze istituzionali che andrebbero studiate, capite. Cui si dovrebbe porre rimedio. L'accento è posto sulla necessità di utilizzare la ragione, nell'affrontare questi fenomeni: quali tipi di violenza conosciamo? Perché si verificano questi fatti violenti? Quali le principali caratteristiche? Come isolare i terroristi? Certamente, spiega poi ne L'ipnosi della violenza, la violenza ha un suo fascino. Necessaria, quindi, un'analisi di tipo socio-economico e politico, ma anche indispensabile un approfondimento del clima culturale, degli atteggiamenti intellettuali che hanno favorito e che favoriscono lo svilupparsi della violenza. Non ci sono forse anche responsabilità degli intellettuali, pronti a ritirarsi in un atteggiamento intimistico o, al contrario, a sposare la violenza senza soffermarsi ad analizzarne le cause, a suggerire rimedi possibili alle carenze strutturali? Perché esiste certamente la violenza comune, ma anche la violenza dotata di significato e portata oggettiva, di carattere politico, di fronte alla quale vi sono esigenze di comprensione razionale: compito degli intellettuali, laddove un loro ritrarsi comporta il rischio di una estetizzazione della violenza.

 

L'impostazione qualitativa

L’impostazione qualitativa, che intorno agli anni ’80 prende un grande spazio nel pensiero di Ferrarotti, si è già affacciata in vari dei volumi cui si è fatto riferimento, a partire dalle ricerche romane, ad esempio, e soprattutto in Vite di baraccati e in Vite di periferia; il primo riporta conversazioni con una donna di una borgata romana. Si tratta di conversazioni registrate, che si allargano a chi passa e si ferma incuriosito a vedere cosa accade e dopo un po’ partecipa alla conversazione. Ma fondamentalmente l’interlocutrice è una. Nella trascrizione, le domande del ricercatore sono riportate tra parentesi: sembra, all’epoca, più rilevante il discorso della donna che non le domande dell’accademico. Solo più avanti maturerà in Ferrarotti e nei suoi più stretti colleghi e collaboratori la consapevolezza dell’importanza del colloquio a due, colloquio che avrebbe preso una piega diversa con un diverso interlocutore. In Vite di periferia poi sono riportate narrazioni riguardanti due zone di Roma: la Magliana, costruita in area insalubre, sotto il livello del Tevere, dove sono stati trasportati gli ex borgatari di Prato Rotondo, e Valle dell’Inferno, così detta forse per ragioni collegate al freddo invernale, all’umidità oppure al fatto che da lì sembra siano passati i lanzichenecchi nel XVI secolo, per invadere Roma: da cui stragi e distruzioni infernali. Ultimamente poi, nella prima parte del XX secolo, la zona aveva visto lo scuro fumo delle ciminiere di numerose fornaci: da lì uscivano molti dei mattoni con cui sarebbero state costruite le case romane. In questo caso si è cercato di rendere i colloqui esattamente come erano avvenuti: mantenendo quindi le eventuali pause nel parlato, lasciando le inevitabili ripetizioni, le numerose interiezioni che denotavano difficoltà nel trovare la risposta, imbarazzo. Si tratta di un testo per amatori, dalla lettura difficile: in futuro si preferirà intervenire sul testo (indicando, naturalmente, la natura degli interventi) per renderlo più fruibile, più leggibile.

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Omaggio a Ferrarotti

Nel 1988 un convegno in suo onore - tenutosi a Roma in un edificio storico sede di varie attività del Ministero dei beni culturali (vi è anche l'Istituto per il restauro), il cosiddetto S. Michele - e la pubblicazione Omaggio a Ferrarotti  evidenziano ulteriormente il ruolo svolto dal sociologo nell'ambito della cultura italiana e internazionale. Tra le testimonianze in tal senso, quella di Thomas Luckmann, che, ricordando il bel libro di Ferrarotti su Max Weber, scrive:

…I should like to say that it is good to know that there are men such as Professor Ferrarotti cultivating substantial sections in that big garden around the tree of knowledge which was created in the prevailing arid landscape of the social sciences not so long ago by a few great scholars-among whom, I do not hesitate to say, Max Weber was the greatest. Perhaps I may add that I am genuinely pleased that there are strong bonds of intellectual affinity and friendship between a substantial number of Italian sociologists and myself. I feel especially privileged that I may count among them Franco Ferrarotti...

Molti tra i primi sociologi italiani del secondo dopoguerra e dei colleghi stranieri partecipano con un loro scritto a questo volume. Che comprende, tra gli altri, un saggio di Robert K. Merton, Sociological Resonances. The Early Franco Ferrarotti and a Transatlantic Colleague. I due grandi sociologi si erano incontrati nel 1961 a Palo Alto, presso il Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences. Merton scrive di consonanze tra la posizione di Ferrarotti e la propria posizione con riguardo alle dottrine dell'idealismo dominante e all'ostracizzazione, al conseguente diniego di un possibile ruolo autonomo e pieno della sociologia, come pure rileva affinità nella critica mossa dal sociologo italiano alle ricerche numerose, ma dall'heterogeneous and erratic character, ricerche prive of a rigorous methodology.
Nella stessa sede intervengono Joseph Bensman, con uno scritto su Mediterranean and Total Bureaucracies: Some Additions to the Weberian Theory of Bureaucracy e Elizabeth Briant Lee con Alfred McClung Lee, che scrivono di Developing a Humanist Perspective. Ancora, il libro contiene un saggio di Agnes Heller su On Being Satisfied in a Dissatisfied Society. Molti altri sono gli autori inglesi, francesi, canadesi, ecc. che offrono una loro testimonianza e un tributo al sociologo italiano. Una riprova, se mai fosse stato necessario, del ruolo svolto da Ferrarotti su piano internazionale, della sua viva presenza nel dibattito tra scienziati sociali.

 

Gli immigrati, l'incontro tra culture

È stato intorno al 1980 che in Italia si è iniziato a prendere atto di un cambiamento epocale: arrivavano da fuori immigrati di diversa provenienza. Si trattava soprattutto di uomini giovani, alla ricerca di lavoro autonomo, per lo più islamici. Di regola, provenienti dal Nord Africa. E di donne (in numero più ridotto) venute in proprio, non quindi in seguito al trasferimento di un familiare maschio. Donne provenienti per lo più dalle Filippine, dal Capo Verde, dall'America Latina. Donne sole, quindi. Di fede cattolica. Che entrano nel settore del lavoro domestico: apparentemente più fortunate degli uomini, perché non devono preoccuparsi di trovare una soluzione abitativa, né devono preoccuparsi del cibo: dormono e vivono presso le famiglie dove lavorano. Eppure, dopo qualche tempo, si evidenziano alcuni problemi: la difficoltà, ad esempio, ad avere una vita privata, relazioni amicali. La difficoltà a tenere con sé eventuali figli. Le donne possono, è vero, mandare soldi a casa, ma pagano duramente con la lontananza dai loro uomini, dai bambini: le famiglie italiane vogliono una singola lavoratrice, non certo un nucleo familiare.
Comunque, negli anni '80 il fenomeno immigrazione comincia a essere sempre più avvertito, mentre cala per gli italiani la necessità di emigrare all'estero per cercare lavoro. 
Ferrarotti è tra i primi ad avvertire questo fenomeno, a interessarsene. A lui il Comune di Roma affiderà un'ampia ricerca (più di 800 intervistati) in merito. Gli immigrati rilasciano interviste che danno un quadro non sempre confortante degli italiani come datori di lavoro: molti di loro non hanno permessi in regola e sono utilizzati al nero, con paghe estremamente ridotte rispetto a quelle degli italiani. Altri dividono in più persone una stanza, affittata a caro prezzo. A lungo le persone dell'Ufficio Studi del Comune esitano: terranno il rapporto di ricerca in un cassetto per qualche anno, prima di pubblicarlo, poiché è ormai evidente che la ricerca era estremamente significativa e trattava di una tematica che avrebbe mutato la società italiana. 
Lui però tiene fede a quello che è diventato il suo modo di lavorare: accanto alla ricerca sul campo studia i presupposti teorici dell'incontro tra culture e chiarisce subito la propria posizione, con un libro dal titolo Oltre il razzismo (Armando, Roma 1988). 
Non solo: usciranno diversi suoi testi in cui l'argomento è trattato in termini ampi, con rimandi a tempi e culture altre. È quanto accade, ad esempio, con  L'enigma di Alessandro. Incontro fra culture e progresso civile (Donzelli, Roma 2000), in cui sostiene che ancora oggi dalla avventura di Alessandro Magno si può trarre una importante lezione nel senso dell'apprezzamento delle differenze, del superamento delle tentazioni razziste e, soprattutto, della possibilità di giungere a una co-tradizione culturale. Questo, a partire dall'ipotesi che si riesca a passare da un concetto di cultura inteso come termine normativo in senso esclusivo a una concezione più ampia, meno gerarchicamente determinata di cultura. Una cultura cioè che non riguardi soltanto le arti, i valori nobili, ma anche le pratiche di vita quotidiana. Una storia che non tratti dei soli vertici, ma tenga conto anche delle persone che sono alla base della piramide sociale. 
Tornerà ancora su questi temi ne La convivenza delle culture. Un'alternativa alla logica degli opposti fondamentalismi (Dedalo, Bari 2003): gli è chiara infatti la necessità di passare dalle culture imperiali di un tempo alla collaborazione tra culture, superando sentimenti di orgoglio mal riposto, forzando i confini del concetto di etnia: presupposti tutti di un possibile, pacifico sviluppo. In questo senso rivà al tema del Mediterraneo, mare che ha fatto da ponte tra diversi popoli, che ha permesso contatti, confronti, scambi culturali. Ma riprende altresì, e riesamina criticamente, il pensiero di Gobineau e quello di Oswald Spengler, le teorie diacroniche dello sviluppo storico e la “religione” del progresso. Auspicando, sempre, un confronto - anche duro, spesso aspro - tra diverse posizioni, per una edificazione comune: unica via di uscita da un futuro sempre più problematico e incerto. 
Negli stessi anni però in cui scrive questi ed altri libri matura in Ferrarotti un certo distacco nei confronti dell'università.

 

La crisi dell'Università

Dopo un così intenso e lungo periodo di attività varia e di vita universitaria egli avverte fortemente i mutamenti avvenuti all'interno del mondo accademico. Il professore universitario, un tempo ritenuto una persona di grande prestigio, tenuto a poche ore settimanali di lezione, con studenti disponibili allo studio, all'approfondimento, con discrete basi conoscitive date per lo più da studi classici fatti nelle scuole secondarie, sembra ormai destinato a scomparire. Il docente universitario si trova in una situazione che sembra degradare sempre più.
A partire dagli anni '80 si sono di molto accresciuti i compiti burocratico-formali: che assorbono molta parte delle energie, dell'attenzione dei docenti. Che rendono sempre più difficile la concentrazione, lo studio, la scrittura tranquilla, costante. L'Università in Italia ha indubbiamente allargato la sua base, ma senza adeguati investimenti. 
La biblioteca cui si rivolgono gli studenti di Sociologia e di Scienze della Comunicazione (nuova facoltà nata qualche anno addietro da quella di Sociologia) è talmente in difficoltà con gli spazi da non potere accogliere donazioni. Le ultime acquisite a suo tempo giacciono, da anni, in casse mai aperte. 
Di fronte a una auspicata libertà di accesso di studenti che hanno alle spalle studi di vario tipo (non si entra più all'Università solo dai licei, classico e scientifico), conquista della rivolta studentesca del '68, non vi è stata però, da parte degli organi preposti, un'adeguata opera di investimenti per quanto riguarda docenti e strutture. Sempre più spesso quindi le cifre degli iscritti sono altissime, mentre non ci sono aiuti adeguati né spazi e aule sufficienti. Per anni i docenti della Sapienza hanno dovuto superare un peso didattico molto forte (800, 1000 studenti) facendo lezione in locali non attrezzati a questo scopo: spesso, in sale cinematografiche. L'allargamento delle basi, dell'accesso all'università non si traduce necessariamente, in Italia, in un moltiplicarsi delle occasioni di apprendimento. Il livello medio della preparazione si è decisamente abbassato, mentre i corsi universitari non sempre riescono a colmare lacune pregresse evidenti. Un noto linguista, Tullio De Mauro, ha lanciato ripetuti allarmi: i ragazzi e i giovani italiani oggi conoscono un numero estremamente ridotto di parole, rispetto a quelli di venti e anche di dieci anni fa. 
In questa situazione di estremo disagio dell'università sembra invece che la sociologia goda di una buona salute: ormai è presente, con corsi di laurea e Facoltà, nelle principali università italiane. Si sono moltiplicate le cattedre, i dipartimenti, i corsi di laurea così come le pubblicazioni e le collane di sociologia. Dietro a questo grande consolidamento e successo c'è stata anche, certamente, l'opera di Franco Ferrarotti. 
Che però come tutti gli innovatori non ha le virtù del consolidatore. Non gli interessa allevare intorno a sé un gruppo di allievi che si facciano poi tramite del suo pensiero con le future generazioni: ha insegnato a mezza Italia, ma ha pochissimi allievi. Non ha dietro di sé una vera e propria scuola di pensiero. Ha presieduto per anni (fino al pensionamento) il Dottorato in Teoria e Ricerca Sociale, da lui fondato: ma non credo che saprebbe come raggiungere i tanti che hanno ottenuto con lui il titolo di Dottore di ricerca. Del resto, il Dottorato è l'unica realtà cui tiene e che presiede fino all'ultimo: ha lasciato invece da tempo la carica di Direttore di Istituto, non ha mai voluto entrare nel merito con riguardo alla nuova realtà dei Dipartimenti. Ancor meno lo attirava l'idea della presidenza della nuova Facoltà di Sociologia, aperta da un suo ex assistente che con lui si era laureato e aveva iniziato la carriera universitaria: ma che ben presto si era dedicato alle survey ben finanziata, che aveva una concezione della sociologia come una utile predella per raggiungere potere e denaro. Che a un certo punto aveva organizzato un convegno intitolato Contro la sociologia qualitativa
In questa università Ferrarotti, abituato a dedicare ogni giorno un certo numero di ore alla lettura, alla scrittura, non interessato a piccole lotte di potere (aveva rinunciato al potere politico, ben più attraente) negli ultimi tempi in cui insegna non si trova più bene.

 

Memorie dell'outsider

Non gli piace neppure particolarmente la sociologia dei nostri giorni, divisa e frammentata non in base a diversità di pensiero, ma a calcoli concorsuali. La sociologia, a suo parere, ha avuto troppo successo. E ha perso il suo spirito critico, la sua vera ragion d'essere. Ferrarotti non ama, a questo punto, essere identificato con la disciplina. Non gli piace essere fermato per strada da qualcuno che gli chiede se è lui il sociologo, avendo letto magari un suo articolo o, più spesso, avendolo visto in una qualche trasmissione televisiva.
Perché esiste, con riguardo a Ferrarotti, un evidente paradosso: lui si ritiene un solitario, un outsider. In buona parte lo è. Eppure si tratta della stessa persona che ha raggiunto fin da giovane i vertici della carriera intrapresa o, per meglio dire, delle carriere intraprese: nel campo dell'industria,dove è diventato consigliere ad personam del presidente della Olivetti, all'epoca una delle più note aziende italiane; in politica, dopo è stato deputato; in Francia, dove ha lavorato da subito come Direttore del settore Social Research della O.E.C.E. a Parigi; nell'Università, dove è stato il primo cattedratico della sua materia in seguito a un pubblico concorso. Non solo: ha ricevuto numerosi premi per le sue opere, anche dal Comune di Roma e dallo Stato italiano, (Ministero dei Beni Culturali). La stessa Accademia dei Lincei, forse la più prestigiosa istituzione italiana nel campo della cultura, gli ha attribuito nel 2001un premio alla carriera. 
Ha presenziato a numerose giurie per premi letterari. La sua presenza è richiesta da intellettuali e politici nelle più varie circostanze (ha lasciato cadere, più volte, offerte a rientrare in politica. A fare, ad esempio, il sindaco di Roma). Ha tenuto lezioni e corsi in prestigiose antiche università europee, dalla Spagna alla Francia alla Germania. Ma anche nel Medio Oriente, in Russia, in Giappone. Per non parlare delle università brasiliane e messicane che lo hanno ospitato, di quelle statunitensi di cui è stato un regolare e stimato ospite per decenni. È stato ed è sollecitato da radio e televisioni italiane e straniere che gli chiedono interviste, pareri. Ha scritto regolarmente sui principali quotidiani italiani. 
Eppure è, fondamentalmente, un solitario. Il primo di alcuni suoi recenti libri autobiografici, Pane e lavoro! uscito nel 2004 in una collana da me diretta per la casa editrice Guerini di Milano, ha un sottotitolo - emblematico - da lui voluto: “memorie dell'outsider”.

 

Vita intellettuale e scrittura

Questo sentirsi estraneo riguarda forse più, oggi, la sociologia e il mondo universitario che non altri ambiti. Ferrarotti, infatti, non ha mai cessato di scrivere opere sociologiche (basti ricordare i suoi recenti volumi su Il potere (Newton Compton, Roma 2004) e Il capitalismo, uscito per la stessa casa editrice nel 2005: un testo in cui ci si interroga sulla situazione dei rapporti di forza dopo il collasso dell'URSS e la fine dei regimi di “socialismo reale”, con l'ingresso, nello scenario internazionale, di paesi come l'India e la Cina. Il capitalismo in quest'ottica viene a essere una forza sociale innovativa se non sovversiva, ricca però di contraddizioni. In causa anche la tendenza, ormai universalmente riconosciuta, alla globalizzazione: che non vuol dire comunque risoluzione dei tanti problemi strutturali esistenti e indotti, né fine del sottosviluppo. Anzi. Ferrarotti in questo testo ripropone, nella parte finale, un tema che gli è caro: quello dell'insufficienza del capitalismo per uno sviluppo umano integrale (quello per cui si era battuto, ragazzo, a fianco di Adriano Olivetti). E denuncia il potere irresponsabile del capitale transnazionale.
Scrive quindi, ancora, di temi di grande impatto sociale, di attualità. Scrive ancora testi sociologici. Ma ultimamente si sta interessando sempre più a un tipo diverso di scrittura: una scrittura più letterariamente avvertita, più fruibile da parte del lettore. E mostra una felicità di stile che gli ha portato consensi da parte di affermati, consolidati scrittori. Vale la pena di ricordare, al riguardo, un libro uscito presso la casa editrice Laterza nel 1991, I grattacieli non hanno foglie. Flash americani. Non si tratta, in questo caso, di un sistematico trattato sugli USA, ma di rapidi ritratti di cocktail parties affollati e inutili, di qualche campus universitario, di un'avventura nelle subways di New York. Degli ethnic restaurants, di grandi piogge in Pennsylvania o in Indiana…Di contraddizioni da capogiro, di grandi promesse come quella del kennediano sogno americano del New Deal… In una delle tante recensioni uscite all'epoca, Siegmund Ginzberg scriveva che il libro si legge bene come bene si beve un bicchiere di acqua ghiacciata in una giornata afosa. Ma, insieme, parla di un libro che tratta temi di profondo interesse e significato(«L'Unità», 25 settembre 1991); e ne «L'Avanti» Roberto Guiducci scrive di un viaggio stimolante e intelligente nella realtà americana. 
Qualche anno dopo, nel 1998, scrive Leggere, leggersi (Donzelli, Roma), in cui parla di un suo grande amore per i libri, per la lettura. E in effetti il suo studio, le sue case traboccano di libri che hanno riempito fino all'inverosimile tutti gli scaffali, che si accumulano in terra o sulle sedie in pile traballanti, che sono la disperazione di chiunque debba fare pulizia: cosa, del resto, altamente vietata perché potrebbe crollare una serie di preziosi volumi… Anche questo è un agile libro scritto con uno stile particolarmente godibile. Apparentemente semplice: in realtà chiama in causa la odierna società dell'immagine, il linguaggio della rete e dei più moderni media. La comunicazione preoccupata di comunicare, in cui si sono spesso persi di vista i contenuti: temi su cui torna in vari saggi più accademici, quali La perfezione del nulla. Promesse e problemi della rivoluzione digitale (Laterza, Roma-Bari 2000) e  La televisione. I cinquant'anni che hanno cambiato gli usi e i costumi degli italiani (Newton Compton, Roma 2005). Ancora, la sua è una visione critica: nella sua interpretazione la televisione è un nuovo potere capace sì di porsi come fattore di integrazione socio-politica, ma al livello minimo: 

Perché è un potere nuovo, storicamente inedito, di fatto incontrollato e incontrollabile, che non si limita a comandare ai corpi ma colonizza le anime. La più raffinata tecnologia, già frutto di squisita razionalità, converge qui e alla fine coincide con la più spietata barbarie. Avviene un rovesciamento la cui fenomenologia non è ancora chiara (p. 97).

Una comunicazione quindi che, più che comunicare, fagocita. I suoi interessi tornano oggi, in parte almeno, alle origini, a quando si laureava in filosofia, a quando discuteva con Nicola Abbagnano: si è recentemente dedicato allo studio di Sartre, collabora con la rivista «Belfagor», corrisponde con cultori di filosofia teoretica, è stimato da docenti di Estetica. 
Ma ha anche rapporti di stima reciproca con poeti e pittori. È stato amico di Amerigo Toth. Alberto Sughi, da molti ritenuto il più importante pittore italiano dei nostri giorni, ha offerto alcuni bellissimi disegni, molti in bianco e nero, due a colori, per il suo secondo volume autobiografico: Le briciole di Epulone (Guerini, Milano 2005), in cui campeggiano le campagne italiane dei primi decenni del ‘900. 

 

Da anni ormai...

Da anni, ormai, fuori ruolo per limiti d’età, ritiratosi da tutto e date le dimissioni da tutte le presidenze, onorarie o meno, Franco Ferrarotti si è dedicato a fondo ai temi che da sempre lo hanno impegnato: le storie di vita, perché l’oggetto della sociologia non è un oggetto, ma una persona; il divario fra sacro e religioso, con meditati attacchi ai guardiani dell’ortodossia, quale che sia; il chiarimento e la denuncia della confusione per valori strumentali, come la tecnica, e valori finali, come le ricorrenti tensioni verso l’oltre-uomo; non l’esistenza o l’inesistenza di Dio, bensì il mistero di Dio, e quindi il rapporto dell’uomo non con l’Essere, come vorrebbero i saccenti, oracolari Heidegger e Severino, bensì il rapporto dell’uomo con l’Esistere: ex-sisto; emergo dal nulla e al nulla ritorno; il concetto di co-tradizione culturale e di dialogo inter-religioso, unica garanzia di sopravvivenza per il genere umano nell’era nucleare. Su questi temi è venuto pubblicando una serie di testi, da Marietti (in sei volumi), ad Armando; Comunità; Solfanelli; Donzelli; Guida; Gangemi, EDB (vedi la bibliografia).

 


 

Riconoscimenti

 

30-09-2006  Premio Letterario Internazionale Arche' - V Edizione 2006 , Anguillara Sabazia citta' d'arte - Diploma d'Onore per la saggistica

 

28-09-2006  Premio di Cultura - Citta' di Santa Marinella - Edizione 2006 - Premio speciale del Presidente

 

12 maggio 2006 Premio M'imprendo in Campidoglio

 

11-11-2005  Conferimento di cavaliere di Gran Croce, massimo grado della repubblica al merito della repubblica italiana.

 

17-07-2004  XVII Premio Nazionale di Cultura nel Giornalismo, Premio Penne d'oro.

 

20-06-2001  Premio "Prof. Luigi Tartufari" per la Sociologia, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma.

 

18-06-2001  Premio Simpatia, Campidoglio, Sala della Protomoteca

 

23-06-2000  Premio Scanno.

 

21-11-1988  Medaglia d'oro al valore della cultura.